“Le grandi opere scollegate dai bisogni reali dei territori e alle reali necessità delle popolazioni interessate garantiscono solo grandi guadagni al capitalismo e devastazione ambientale”. Contro la concezione speculativa di un modello perverso di sviluppo l’8 agosto tutti in piazza a Messina.
Quello che serve realmente per lo stretto è un modello di trasporto pubblico, che passi attraverso il potenziamento e l’ammodernamento dei porti, delle infrastrutture e della flotta navale, con il grande vantaggio di creare nuovi posti di lavoro e non devastare l’ambiente con un’opera che trasformerà in un cantiere infinito tutta l’area interessata.
Quello che serve realmente è anche il reale potenziamento della rete ferroviaria, mentre Treni Italia porta avanti un piano che oltre a cancellare i treni a lunga percorrenza, quelli che collegano direttamente la Sicilia alla penisola, prevede la consequenziale chiusura di officine, di stazioni e di uffici, cioè la perdita di circa 3.000 posti di lavoro.
La Federazione Siciliana dell’FdCA
Agosto 2009
Il ponte e’ antisismico… e le nostre città?
Tra i vari provvedimenti contenuti nel maxiemendamento del Governo relativo al piano anticrisi in discussione in questi giorni, ve n’è uno che stanzia 1,3 miliardi di euro per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina.
Il costo di costruzione del Ponte è pari a circa 4,6 miliardi di euro (valutazione al 2002), incluse le infrastrutture che comprendono 40 chilometri di raccordi stradali e ferroviari che serviranno a collegare il ponte alle autostrade e alle ferrovie già esistenti. Se però si aggiungono gli oneri finanziari, cioè gli interessi, che matureranno nel periodo di costruzione si arriva a circa 6 miliardi di euro.
La società concessionaria per la progettazione, la realizzazione e la gestione del collegamento stabile tra la Sicilia e il continente, è la “Stretto di Messina S.p.a.”, costituita nel 1981 con una apposita legge dello Stato del 1971. I suoi azionisti sono tutti società ed enti pubblici: la Fintecna, con il 68,8% delle azioni, Rete ferroviaria italiana (RFI), con il 13%, l'Anas, con il 13% e la Regione Sicilia e la Regione Calabria rispettivamente con il 2,6% ciascuno.
Il 40% di questi 6 miliardi di euro, secondo le previsioni della Stretto di Messina S.p.a., si dovrebbero ottenere con un aumento di capitale della società stessa, e dato che la concessionaria è costituita al 100% da soggetti pubblici, i 2,5 miliardi di euro sarebbero soldi dello Stato.
Quindi esborso dei lavoratori (ricordiamo, i maggiori contribuenti).
Il 60% restante, cioè 3,5 miliardi di euro, dovrebbero essere trovati sul mercato con il meccanismo del “project financing”, ossia una forma di finanziamento mediante la quale le amministrazioni pubbliche possono reperire capitali privati per opere di pubblica utilità. Ovviamente secondo questa formula, gli investitori privati devono essere ricompensati del loro investimento tramite concessioni per sfruttare l'opera stessa, una volta terminata. Nel caso del ponte, dunque, a ripagare i privati, dei loro 3,5 miliardi di euro, dovrebbero essere i pedaggi pagati per attraversare lo stretto.
Quindi affari per il capitale finanziario.
Chi lo costruirà? Nell'ottobre del 2005 l' Associazione Temporanea di Imprese Eurolink S.C.p.A. ha vinto l'appalto di contraente generale per la progettazione e realizzazione dell'opera. Questa ATI è formata da Impregilo S.p.A. per il 45%, Sacyr S.A. per il 18.70%, Società Italiana per Condotte d’Acqua S.p.A. per il 15%, Cooperativa Muratori & Cementisti per il 13% e altre con quota minore.
Quindi affari per l’industria del cemento.
C’è di più. C’è una clausola nel contratto di concessione che prevede che se dopo 30 anni di gestione non si sia riusciti a coprire i costi di realizzazione attraverso i pedaggi, la somma restante, fino a un massimo del 50% del costo di investimento, sarà coperta dallo Stato.
Altro esborso dei contribuenti.
E l’ipotesi che si verifichi un’eventualità del genere non è del tutto da scartare, visto che, a dispetto dello sbandierato ottimismo dei fautori dell’opera, i traffici di merci che attraversano lo stretto stanno diminuendo. Anche perché diviene sempre più conveniente trasportare via nave le merci direttamente dai porti del sud di Napoli, Salerno, ecc, (e viceversa) che far attraversare alle stesse tutta la Calabria via strada.
Finora abbiamo analizzato chi tirerà fuori i soldi: lo Stato, ossia in questo caso i suoi maggiori sostenitori economici, cioè i lavoratori dipendenti; e chi ci guadagnerà: le società finanziare, l’industria del cemento, unitamente alle varie mafie.
Ma quali i benefici?
I fautori dell’opera ci dicono che si risparmierà tantissimo tempo nell’attraversare lo stretto mediante il ponte piuttosto che utilizzare l’attuale trasporto in nave. Facciamo due conti.
L'ipotetico viaggiatore in treno risparmierebbe, se tutto va bene, circa 1 ora. Un ottimo risparmio di tempo, ma nulla al confronto di quello che ci si guadagnerebbe a risistemare la rete ferroviaria siciliana, che viaggia spesso a un solo binario. Solo per fare qualche esempio sul collegamento Ragusa-Messina, si viaggia alla straordinaria media di 40 km/h, o ancora, da Palermo a Messina un intervento radicale sulla infrastruttura ferroviaria terrestre porterebbe un risparmio di circa 1 ora e mezza.
In automobile, a parte date particolari, come week-end e ferie, attualmente occorrono circa 35-40 minuti per attraversare lo stretto, compresi i tempi di attesa per il biglietto. Attraversare lo stretto col ponte comporterebbe un tempo di circa 5 minuti, calcolando però il solo tempo di transito, perché comunque ci sarebbe da aggiungere i tempi relativi al pagamento del pedaggio. Quindi anche col ponte non ci sarebbe verso di eliminare code e file.
Quindi nessun beneficio da questo punto di vista per gli abitanti del territorio siciliano e di quello calabrese, anche perché le rampe di salita di ambedue i versanti sono molto lontane dalle due città principali, per cui si presume che reggini e messinesi continueranno a utilizzare i traghetti.
Veniamo agli spetti tecnici.
Secondo il progetto il ponte è costituito da un’unica campata sospesa lunga 3500 metri e larga circa 70 metri. Per sostenerlo occorrono 166.000 tonnellate di acciaio in cavi di un metro e venti centimetri di diametro. Il ponte è retto da due torri enormi, alte circa 380 metri a partire dal suolo e infisse nello stesso 55 metri. Per motivi di resistenza strutturale il ponte, sospeso a circa 65 metri di quota dal mare, non è immobile. Infatti esso può oscillare liberamente di circa 12 metri in orizzontale e 9 metri in verticale nella sua parte centrale. Questo per resistere ai venti che, nello stretto, possono superare i 200 km/h. Quando però le oscillazioni causate dal vento divengono così elevate il ponte deve essere necessariamente chiuso al transito, e questo potrebbe accadere per circa 50 o più giorni all'anno. Inoltre fino ad ora non si è riusciti a risolvere il problema delle deformazioni che queste oscillazioni comporterebbero ai binari della ferrovia che dovrebbe passare sul ponte. Tanto è vero che su queste tipologie di ponti, già esistenti nel mondo e con campate superiori ai 1500 metri, le ferrovie non vengono costruite. Qui più che di ingegno italiano si dovrebbe parlare di sfrenata fantasia italiana.
In più ci assicurano che il ponte sarà antisismico, ossia in grado di sopportare terremoti di magnitudo fino a 7,1 Richter, che è la magnitudo ricavata in maniera indiretta per il devastante sisma che colpì le province di Messina e Reggio Calabria nel 1908. Ma il problema è proprio su questa stima indiretta dell’energia liberata nel 1908. Ossia reggerà un ponte che è stato commisurato a magnitudo 7,1 Richter, visto che, non essendoci all’inizio del XX secolo rilevamenti strumentali adatti, si tratta di una stima indiretta e che quindi la scossa prossima ventura potrebbe essere tranquillamente superiore ai 7,1 Richter? Le nostre attuali conoscenze su quando, con quanta forza e con quali modalità possa verificarsi un evento sismico in una certa area, sono molto scarse. E purtroppo ne abbiamo avuto riscontro nell’ultimo grande evento di Aprile in Abruzzo.
La Sicilia nord-orientale e la Calabria meridionale fanno parte di un’area che è a più alto rischio sismico dell'intero bacino Mediterraneo. In quest'area, a partire dal IX secolo, si sono verificati almeno 13 terremoti d'intensità superiore al VII grado della scala Mercalli. Inoltre, l’ambiente scientifico ancora non ha chiarezza sul quadro geologico dello stretto di Messina, tanto che persino la faglia del terremoto del 1908 resta da definire con certezza sul versante calabrese. Ad esempio, è stata verificata la vulnerabilità strutturale del ponte, se sottoposto ad una serie di violente scosse ravvicinate, come quelle sul modello della crisi sismica calabrese del 1753, caratterizzata da cinque scosse principali comprese tra magnitudo 5,6 e 7 della "scala" Richter e concentrate in un periodo di tre mesi?
Ma anche ammettendo che il ponte in seguito ad un sisma ad esempio di 7 gradi di magnitudo rimanga in piedi, che ce ne facciamo se intorno avremo solo morte e distruzione, visto che le città di Reggio Calabria e Messina, come d’altronde la maggior parte delle città italiane, hanno solo il 5% antisismico?
Non sarebbe più appropriato spendere le risorse stanziate per cominciare ad adeguare sismicamente almeno gli edifici sensibili del territorio, ossia scuole ed ospedali?
Oppure non sarebbe più appropriato spendere le risorse stanziate per risolvere i centenari problemi idrogeologici della Calabria o della Sicilia? Ad esempio attraverso il completamento e messa in esercizio delle dighe e degli invasi mai utilizzati, la costruzione ed il completamento delle canalizzazioni e degli acquedotti per la distribuzione dell’acqua nelle campagne e nelle città, o ancora per la costruzione, nelle due regioni, di dissalatori nelle località dove è più pressante la penuria dell’acqua?
Ma gli affari sono affari… e il grande capitale finanziario e quello industriale e le varie mafie perderebbero un occasione d’oro, così come perderebbero un’occasione d’oro lo Stato nel ribadire le sue accentratrici prerogative di utilizzatore del territorio e tutti quei servi in giacca e cravatta, progettisti futuristi di opere devastatrici e senza utilità.
zatarra
Il costo di costruzione del Ponte è pari a circa 4,6 miliardi di euro (valutazione al 2002), incluse le infrastrutture che comprendono 40 chilometri di raccordi stradali e ferroviari che serviranno a collegare il ponte alle autostrade e alle ferrovie già esistenti. Se però si aggiungono gli oneri finanziari, cioè gli interessi, che matureranno nel periodo di costruzione si arriva a circa 6 miliardi di euro.
La società concessionaria per la progettazione, la realizzazione e la gestione del collegamento stabile tra la Sicilia e il continente, è la “Stretto di Messina S.p.a.”, costituita nel 1981 con una apposita legge dello Stato del 1971. I suoi azionisti sono tutti società ed enti pubblici: la Fintecna, con il 68,8% delle azioni, Rete ferroviaria italiana (RFI), con il 13%, l'Anas, con il 13% e la Regione Sicilia e la Regione Calabria rispettivamente con il 2,6% ciascuno.
Il 40% di questi 6 miliardi di euro, secondo le previsioni della Stretto di Messina S.p.a., si dovrebbero ottenere con un aumento di capitale della società stessa, e dato che la concessionaria è costituita al 100% da soggetti pubblici, i 2,5 miliardi di euro sarebbero soldi dello Stato.
Quindi esborso dei lavoratori (ricordiamo, i maggiori contribuenti).
Il 60% restante, cioè 3,5 miliardi di euro, dovrebbero essere trovati sul mercato con il meccanismo del “project financing”, ossia una forma di finanziamento mediante la quale le amministrazioni pubbliche possono reperire capitali privati per opere di pubblica utilità. Ovviamente secondo questa formula, gli investitori privati devono essere ricompensati del loro investimento tramite concessioni per sfruttare l'opera stessa, una volta terminata. Nel caso del ponte, dunque, a ripagare i privati, dei loro 3,5 miliardi di euro, dovrebbero essere i pedaggi pagati per attraversare lo stretto.
Quindi affari per il capitale finanziario.
Chi lo costruirà? Nell'ottobre del 2005 l' Associazione Temporanea di Imprese Eurolink S.C.p.A. ha vinto l'appalto di contraente generale per la progettazione e realizzazione dell'opera. Questa ATI è formata da Impregilo S.p.A. per il 45%, Sacyr S.A. per il 18.70%, Società Italiana per Condotte d’Acqua S.p.A. per il 15%, Cooperativa Muratori & Cementisti per il 13% e altre con quota minore.
Quindi affari per l’industria del cemento.
C’è di più. C’è una clausola nel contratto di concessione che prevede che se dopo 30 anni di gestione non si sia riusciti a coprire i costi di realizzazione attraverso i pedaggi, la somma restante, fino a un massimo del 50% del costo di investimento, sarà coperta dallo Stato.
Altro esborso dei contribuenti.
E l’ipotesi che si verifichi un’eventualità del genere non è del tutto da scartare, visto che, a dispetto dello sbandierato ottimismo dei fautori dell’opera, i traffici di merci che attraversano lo stretto stanno diminuendo. Anche perché diviene sempre più conveniente trasportare via nave le merci direttamente dai porti del sud di Napoli, Salerno, ecc, (e viceversa) che far attraversare alle stesse tutta la Calabria via strada.
Finora abbiamo analizzato chi tirerà fuori i soldi: lo Stato, ossia in questo caso i suoi maggiori sostenitori economici, cioè i lavoratori dipendenti; e chi ci guadagnerà: le società finanziare, l’industria del cemento, unitamente alle varie mafie.
Ma quali i benefici?
I fautori dell’opera ci dicono che si risparmierà tantissimo tempo nell’attraversare lo stretto mediante il ponte piuttosto che utilizzare l’attuale trasporto in nave. Facciamo due conti.
L'ipotetico viaggiatore in treno risparmierebbe, se tutto va bene, circa 1 ora. Un ottimo risparmio di tempo, ma nulla al confronto di quello che ci si guadagnerebbe a risistemare la rete ferroviaria siciliana, che viaggia spesso a un solo binario. Solo per fare qualche esempio sul collegamento Ragusa-Messina, si viaggia alla straordinaria media di 40 km/h, o ancora, da Palermo a Messina un intervento radicale sulla infrastruttura ferroviaria terrestre porterebbe un risparmio di circa 1 ora e mezza.
In automobile, a parte date particolari, come week-end e ferie, attualmente occorrono circa 35-40 minuti per attraversare lo stretto, compresi i tempi di attesa per il biglietto. Attraversare lo stretto col ponte comporterebbe un tempo di circa 5 minuti, calcolando però il solo tempo di transito, perché comunque ci sarebbe da aggiungere i tempi relativi al pagamento del pedaggio. Quindi anche col ponte non ci sarebbe verso di eliminare code e file.
Quindi nessun beneficio da questo punto di vista per gli abitanti del territorio siciliano e di quello calabrese, anche perché le rampe di salita di ambedue i versanti sono molto lontane dalle due città principali, per cui si presume che reggini e messinesi continueranno a utilizzare i traghetti.
Veniamo agli spetti tecnici.
Secondo il progetto il ponte è costituito da un’unica campata sospesa lunga 3500 metri e larga circa 70 metri. Per sostenerlo occorrono 166.000 tonnellate di acciaio in cavi di un metro e venti centimetri di diametro. Il ponte è retto da due torri enormi, alte circa 380 metri a partire dal suolo e infisse nello stesso 55 metri. Per motivi di resistenza strutturale il ponte, sospeso a circa 65 metri di quota dal mare, non è immobile. Infatti esso può oscillare liberamente di circa 12 metri in orizzontale e 9 metri in verticale nella sua parte centrale. Questo per resistere ai venti che, nello stretto, possono superare i 200 km/h. Quando però le oscillazioni causate dal vento divengono così elevate il ponte deve essere necessariamente chiuso al transito, e questo potrebbe accadere per circa 50 o più giorni all'anno. Inoltre fino ad ora non si è riusciti a risolvere il problema delle deformazioni che queste oscillazioni comporterebbero ai binari della ferrovia che dovrebbe passare sul ponte. Tanto è vero che su queste tipologie di ponti, già esistenti nel mondo e con campate superiori ai 1500 metri, le ferrovie non vengono costruite. Qui più che di ingegno italiano si dovrebbe parlare di sfrenata fantasia italiana.
In più ci assicurano che il ponte sarà antisismico, ossia in grado di sopportare terremoti di magnitudo fino a 7,1 Richter, che è la magnitudo ricavata in maniera indiretta per il devastante sisma che colpì le province di Messina e Reggio Calabria nel 1908. Ma il problema è proprio su questa stima indiretta dell’energia liberata nel 1908. Ossia reggerà un ponte che è stato commisurato a magnitudo 7,1 Richter, visto che, non essendoci all’inizio del XX secolo rilevamenti strumentali adatti, si tratta di una stima indiretta e che quindi la scossa prossima ventura potrebbe essere tranquillamente superiore ai 7,1 Richter? Le nostre attuali conoscenze su quando, con quanta forza e con quali modalità possa verificarsi un evento sismico in una certa area, sono molto scarse. E purtroppo ne abbiamo avuto riscontro nell’ultimo grande evento di Aprile in Abruzzo.
La Sicilia nord-orientale e la Calabria meridionale fanno parte di un’area che è a più alto rischio sismico dell'intero bacino Mediterraneo. In quest'area, a partire dal IX secolo, si sono verificati almeno 13 terremoti d'intensità superiore al VII grado della scala Mercalli. Inoltre, l’ambiente scientifico ancora non ha chiarezza sul quadro geologico dello stretto di Messina, tanto che persino la faglia del terremoto del 1908 resta da definire con certezza sul versante calabrese. Ad esempio, è stata verificata la vulnerabilità strutturale del ponte, se sottoposto ad una serie di violente scosse ravvicinate, come quelle sul modello della crisi sismica calabrese del 1753, caratterizzata da cinque scosse principali comprese tra magnitudo 5,6 e 7 della "scala" Richter e concentrate in un periodo di tre mesi?
Ma anche ammettendo che il ponte in seguito ad un sisma ad esempio di 7 gradi di magnitudo rimanga in piedi, che ce ne facciamo se intorno avremo solo morte e distruzione, visto che le città di Reggio Calabria e Messina, come d’altronde la maggior parte delle città italiane, hanno solo il 5% antisismico?
Non sarebbe più appropriato spendere le risorse stanziate per cominciare ad adeguare sismicamente almeno gli edifici sensibili del territorio, ossia scuole ed ospedali?
Oppure non sarebbe più appropriato spendere le risorse stanziate per risolvere i centenari problemi idrogeologici della Calabria o della Sicilia? Ad esempio attraverso il completamento e messa in esercizio delle dighe e degli invasi mai utilizzati, la costruzione ed il completamento delle canalizzazioni e degli acquedotti per la distribuzione dell’acqua nelle campagne e nelle città, o ancora per la costruzione, nelle due regioni, di dissalatori nelle località dove è più pressante la penuria dell’acqua?
Ma gli affari sono affari… e il grande capitale finanziario e quello industriale e le varie mafie perderebbero un occasione d’oro, così come perderebbero un’occasione d’oro lo Stato nel ribadire le sue accentratrici prerogative di utilizzatore del territorio e tutti quei servi in giacca e cravatta, progettisti futuristi di opere devastatrici e senza utilità.
zatarra
Sulla RU486.
Il meglio è nemico del bene. E il peggio? Estate calda.
Cosa di meglio di un bel tormentone clericale, per distrarre gli animi da problemi più seri e infiammare le coscienze? Dopo anni di ingerenze clericali, tra gli ultimi paesi in Europa, l’AIFA finalmente ha dato il via libera in Italia alla RU486 (l’OMS lo ha fatto nel 2003). Che la diga vaticana abbia ceduto ha gettato nello sgomento persino l’onorevole Cuffaro,improvvisamente preoccupato per la salute delle donne: 29 morte nel mondo dal 1986, per quanto riconducibili a un protocollo differente da quello ora adottato, dovrebbero far riflettere! Se si fanno i paragoni con le centinaia di migliaia che ogni anno nel mondo muoiono per aborti clandestini o in mancanza di sicurezza igienica, o con le donne che muoiono di parto o dopo aver partorito perché sottoposte a operazioni di mutilazione genitale… di certo i conti non tornano. A noi ad esempio preoccupano di più le oltre 80 donne uccise, sul territorio italiano e nel solo 2008, da maschi più o meno nostrani, mariti, ex, fidanzati e conviventi, in uno stillicidio su cui leggi fintamente repressive non possono incidere finché si mantiene un modello sessista di società e di vita.
In effetti nel merito appare evidente come la polemica innescata sulla RU486 è del tutto strumentale e non riguarda di certo la salute fisica delle donne. Dopo decenni di utilizzo i dati del farmaco sono assolutamente chiari: riduce il rischio di salute per la donna evitando l’intervento chirurgico, riduce la possibilità di portare la decisione e quindi l’intervento alle ultime settimane consentite dalla Legge, quindi favorisce una interruzione di gravidanza che avviene nei primissimi stadi di divisione cellulare dell’ovulo fecondato. Anche chi fa notare
l’aspetto commerciale dietro l’immissione in commercio della RU486 tace, evidentemente per eccesso di carità, di fronte allo scandalo del vaccino contro l’influenza suina, appaltato a suon di milioni di euro e, quello sì, non sappiamo quanto inutile e quanto dannoso, visto la fase più importante della sperimentazione clinica avverrà direttamente sulla popolazione dopo la commercializzazione.
Tornando alla RU486, il secondo problema sembra la salute psicologica delle donne, e infatti la più seria controindicazione appare già nella Genesi 3.16 (Tu donna partorirai - dunque abortirai - nel dolore). Una pasticca no, è troppo semplice, si dice, quasi si parlasse di un farmaco da banco e non di uno che va utilizzato sotto stretta vigilanza per le sue caratteristiche particolari. Pochi rischi, poco dolore? Tanto giustifica una minaccia di scomunica, tutta italiana, allargata a chi venderà, prescriverà, utilizzerà l’RU486. Minaccia che probabilmente non fermerà nessuno, visto che persino tanti legislatori, strenui difensori della Chiesa e dei valori cristiani, tecnicamente sono fuori dal consesso cattolico da tempo, amando di solito tanto la famiglia da averne almeno un paio.
Poche voci di buonsenso ricordano che in Italia è in vigore una Legge che regola l’interruzione di gravidanza, che la pillola permette di evitare un aborto prima delle fasi di costituzione dell’embrione, rimarcano la ragionevolezza di una decisione semmai tardiva, che va nella direzione di evitare il peggio, e, anche, di risparmiare in termini di interventi chirurgici e quindi anche razionalizzare la spesa sanitaria.
Noi abbiamo smesso da tempo di chiederci perché la Chiesa Cattolica non se la prende per la mancata ricerca su farmaci mirati contro le malattie che nel sud del mondo uccidono milioni di persone, perché non interviene con vigore sulla carenza di farmaci per i neonati e i bambini piccoli, che sono sottoposti a cure troppo spesso sperimentate e quindi validate solo su adulti: sappiamo che le interessa salvare più le anime dei corpi. Non ci fa nemmeno strano che politici di varie levature usino le donne e la loro salute come offerte sacrificali nella speranza di aumentare il proprio peso su una bilancia politica sempre più squilibrata. Ci basta, ci serve, che queste polemiche sterili e, perché no, un po’ offensive restino nei talkshow e nel circuito mediatico delle chiacchiere, e non ricadano nella vita reale, non si trasformino nella negazione dei servizi sanitari a chi li richiede, nella penalizzazione degli operatori e operatrici sanitarie che hanno a cuore la salute. Ci basta, ci serve, che gli uomini e le donne di questo paese rispondano e si conservino spazi di libertà.
FdCA - Commissione di genere
Cosa di meglio di un bel tormentone clericale, per distrarre gli animi da problemi più seri e infiammare le coscienze? Dopo anni di ingerenze clericali, tra gli ultimi paesi in Europa, l’AIFA finalmente ha dato il via libera in Italia alla RU486 (l’OMS lo ha fatto nel 2003). Che la diga vaticana abbia ceduto ha gettato nello sgomento persino l’onorevole Cuffaro,improvvisamente preoccupato per la salute delle donne: 29 morte nel mondo dal 1986, per quanto riconducibili a un protocollo differente da quello ora adottato, dovrebbero far riflettere! Se si fanno i paragoni con le centinaia di migliaia che ogni anno nel mondo muoiono per aborti clandestini o in mancanza di sicurezza igienica, o con le donne che muoiono di parto o dopo aver partorito perché sottoposte a operazioni di mutilazione genitale… di certo i conti non tornano. A noi ad esempio preoccupano di più le oltre 80 donne uccise, sul territorio italiano e nel solo 2008, da maschi più o meno nostrani, mariti, ex, fidanzati e conviventi, in uno stillicidio su cui leggi fintamente repressive non possono incidere finché si mantiene un modello sessista di società e di vita.
In effetti nel merito appare evidente come la polemica innescata sulla RU486 è del tutto strumentale e non riguarda di certo la salute fisica delle donne. Dopo decenni di utilizzo i dati del farmaco sono assolutamente chiari: riduce il rischio di salute per la donna evitando l’intervento chirurgico, riduce la possibilità di portare la decisione e quindi l’intervento alle ultime settimane consentite dalla Legge, quindi favorisce una interruzione di gravidanza che avviene nei primissimi stadi di divisione cellulare dell’ovulo fecondato. Anche chi fa notare
l’aspetto commerciale dietro l’immissione in commercio della RU486 tace, evidentemente per eccesso di carità, di fronte allo scandalo del vaccino contro l’influenza suina, appaltato a suon di milioni di euro e, quello sì, non sappiamo quanto inutile e quanto dannoso, visto la fase più importante della sperimentazione clinica avverrà direttamente sulla popolazione dopo la commercializzazione.
Tornando alla RU486, il secondo problema sembra la salute psicologica delle donne, e infatti la più seria controindicazione appare già nella Genesi 3.16 (Tu donna partorirai - dunque abortirai - nel dolore). Una pasticca no, è troppo semplice, si dice, quasi si parlasse di un farmaco da banco e non di uno che va utilizzato sotto stretta vigilanza per le sue caratteristiche particolari. Pochi rischi, poco dolore? Tanto giustifica una minaccia di scomunica, tutta italiana, allargata a chi venderà, prescriverà, utilizzerà l’RU486. Minaccia che probabilmente non fermerà nessuno, visto che persino tanti legislatori, strenui difensori della Chiesa e dei valori cristiani, tecnicamente sono fuori dal consesso cattolico da tempo, amando di solito tanto la famiglia da averne almeno un paio.
Poche voci di buonsenso ricordano che in Italia è in vigore una Legge che regola l’interruzione di gravidanza, che la pillola permette di evitare un aborto prima delle fasi di costituzione dell’embrione, rimarcano la ragionevolezza di una decisione semmai tardiva, che va nella direzione di evitare il peggio, e, anche, di risparmiare in termini di interventi chirurgici e quindi anche razionalizzare la spesa sanitaria.
Noi abbiamo smesso da tempo di chiederci perché la Chiesa Cattolica non se la prende per la mancata ricerca su farmaci mirati contro le malattie che nel sud del mondo uccidono milioni di persone, perché non interviene con vigore sulla carenza di farmaci per i neonati e i bambini piccoli, che sono sottoposti a cure troppo spesso sperimentate e quindi validate solo su adulti: sappiamo che le interessa salvare più le anime dei corpi. Non ci fa nemmeno strano che politici di varie levature usino le donne e la loro salute come offerte sacrificali nella speranza di aumentare il proprio peso su una bilancia politica sempre più squilibrata. Ci basta, ci serve, che queste polemiche sterili e, perché no, un po’ offensive restino nei talkshow e nel circuito mediatico delle chiacchiere, e non ricadano nella vita reale, non si trasformino nella negazione dei servizi sanitari a chi li richiede, nella penalizzazione degli operatori e operatrici sanitarie che hanno a cuore la salute. Ci basta, ci serve, che gli uomini e le donne di questo paese rispondano e si conservino spazi di libertà.
FdCA - Commissione di genere
Antifascismo ora e sempre.
Per non perdere la memoria.
1978: il 28 febbraio Fioravanti uccide con alcuni colpi d’arma da fuoco il ventiquattrenne Roberto Scialabba, militante comunista, finendolo con un colpo alla nuca in piazza Don Bosco a Cinecittà dove Scialabba lavorava come elettricista.
Uno scontro a fuoco ad un cinema dove si proiettava Salò e le 120 giornate di Sodoma di Pisolini.
Il 9 gennaio 1979 Fioravanti, insieme ad altre tre persone, assalta la sede romana di Radio Città Futura dove è in corso una trasmissione gestita da un gruppo femminista. Il gruppo appicca il fuoco ai locali della radio e ferisce a colpi di mitra quattro compagne.
Il 16 giugno dello stesso anno guida l'assalto alla sezione del PCI dell'Esquilino a Roma dove si tiene un'assemblea congiunta (del quartiere e dei ferrovieri) con oltre cinquanta persone. A seguito del lancio di due bombe a mano, nonché svariati colpi di arma da fuoco, rimangono ferite venticinque persone.
Il 17 dicembre pianifica, insieme ad altri terroristi, l'omicidio dell'avvocato Giorgio Arcangeli, ritenuto responsabile della cattura di Pierluigi Concutelli, leader neofascista. Fioravanti non ha mai visto la vittima e ne conosce solo una sommaria descrizione. L'agguato viene teso sotto lo studio dell'avvocato, ma ad essere ucciso è un inconsapevole geometra di 24 anni, Antonio Leandri, vittima di uno scambio di persona e colpevole di essersi voltato al grido Avvocato! lanciato da Fioravanti.
Il 23 giugno 1980 Fioravanti, Francesca Mambro e Gilberto Cavallini, quest'ultimo esecutore materiale dell'omicidio, uccidono a Roma il sostituto procuratore Mario Amato. Il magistrato aveva ereditato i fascicoli d'indagine dal giudice Vittorio Occorsio e da due anni conduceva le principali inchieste sui movimenti eversivi di destra. Poco tempo prima di essere assassinato aveva chiesto l'uso di un'auto blindata che gli era stata negata. All'indomani dell'omicidio i NAR telefonano ad un quotidiano e fanno ritrovare un volantino di rivendicazione: «Oggi 23 giugno 1980 alle ore 8:05, abbiamo eseguito la sentenza di morte emanata contro il sostituto procuratore Mario Amato, per le cui mani passavano tutti i processi a carico dei camerati. Oggi egli ha chiuso la sua squallida esistenza imbottito di piombo. Altri, ancora, pagheranno». Amato aveva annunciato che le sue indagini lo stavano portando «alla visione di una verità d'assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori degli atti criminosi».
Tratto da: L'avamposto degli incompatibili
www.controaappunto.org
1978: il 28 febbraio Fioravanti uccide con alcuni colpi d’arma da fuoco il ventiquattrenne Roberto Scialabba, militante comunista, finendolo con un colpo alla nuca in piazza Don Bosco a Cinecittà dove Scialabba lavorava come elettricista.
Uno scontro a fuoco ad un cinema dove si proiettava Salò e le 120 giornate di Sodoma di Pisolini.
Il 9 gennaio 1979 Fioravanti, insieme ad altre tre persone, assalta la sede romana di Radio Città Futura dove è in corso una trasmissione gestita da un gruppo femminista. Il gruppo appicca il fuoco ai locali della radio e ferisce a colpi di mitra quattro compagne.
Il 16 giugno dello stesso anno guida l'assalto alla sezione del PCI dell'Esquilino a Roma dove si tiene un'assemblea congiunta (del quartiere e dei ferrovieri) con oltre cinquanta persone. A seguito del lancio di due bombe a mano, nonché svariati colpi di arma da fuoco, rimangono ferite venticinque persone.
Il 17 dicembre pianifica, insieme ad altri terroristi, l'omicidio dell'avvocato Giorgio Arcangeli, ritenuto responsabile della cattura di Pierluigi Concutelli, leader neofascista. Fioravanti non ha mai visto la vittima e ne conosce solo una sommaria descrizione. L'agguato viene teso sotto lo studio dell'avvocato, ma ad essere ucciso è un inconsapevole geometra di 24 anni, Antonio Leandri, vittima di uno scambio di persona e colpevole di essersi voltato al grido Avvocato! lanciato da Fioravanti.
Il 23 giugno 1980 Fioravanti, Francesca Mambro e Gilberto Cavallini, quest'ultimo esecutore materiale dell'omicidio, uccidono a Roma il sostituto procuratore Mario Amato. Il magistrato aveva ereditato i fascicoli d'indagine dal giudice Vittorio Occorsio e da due anni conduceva le principali inchieste sui movimenti eversivi di destra. Poco tempo prima di essere assassinato aveva chiesto l'uso di un'auto blindata che gli era stata negata. All'indomani dell'omicidio i NAR telefonano ad un quotidiano e fanno ritrovare un volantino di rivendicazione: «Oggi 23 giugno 1980 alle ore 8:05, abbiamo eseguito la sentenza di morte emanata contro il sostituto procuratore Mario Amato, per le cui mani passavano tutti i processi a carico dei camerati. Oggi egli ha chiuso la sua squallida esistenza imbottito di piombo. Altri, ancora, pagheranno». Amato aveva annunciato che le sue indagini lo stavano portando «alla visione di una verità d'assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori degli atti criminosi».
Tratto da: L'avamposto degli incompatibili
www.controaappunto.org
Lode alle donne afgane.
Da quando gli Stati Uniti e i loro alleati hanno invaso l'Afghanistan la situazione del popolo afghano è peggiorata in tutti i sensi. Bush, per giustificare l'ignobile aggressione, aveva detto di agire in nome “del progresso, del pluralismo, della tolleranza e della libertà”. In realtà, sappiamo bene che la caccia a Bin Laden e “l'esportazione della democrazia” in quel paese erano solo una scusa che nascondeva i reali motivi di quella guerra imperialista: la difesa degli interessi strategici, economici e geopolitici in quella parte del mondo, essenziale per poter contrastare la forza crescente di nuove potenze che minacciano gli interessi degli Stati Uniti e dei loro alleati europei. Tra i motivi addotti vi erano la guerra alla droga e la liberazione delle donne afghane. Per quanto riguarda il primo non risulta che nemmeno un singolo deposito di eroina sia stato colpito o che siano state distrutte piantagioni di papavero da oppio; anzi la produzione dell'oppio è aumentata in maniera esponenziale e fiumi di eroina hanno continuato a scorrere per affluire nelle vene dei disperati di tutto il mondo. Tutto questo sotto gli occhi vigili e protettivi delle forze occidentali. Del resto, un paese in guerra e distrutto come l'Afghanistan l'unica cosa che produce e può utilizzare come bene di scambio con altre merci è proprio l'oppio, che va ad ingrassare la cosiddetta economia legale delle grosse holding finanziarie occidentali.
La liberazione delle donne è l'altra tragica beffa giocata ai danni delle già martoriate afghane. Non solo hanno continuato ad annullare la loro fisicità, il loro essere corpi viventi, dentro gli odiati burqa, ma hanno dovuto subire la violenza brutale degli stupri, l'essere vendute, i matrimoni forzati, la prostituzione, le aggressioni con l'acido. Per non parlare del disastro umanitario in cui versano le vedove di guerra e le donne povere costrette a subire violenze di tutti i tipi. In alcune zone, le donne preferiscono suicidarsi, darsi fuoco piuttosto che sottomettersi ad un regime violento e disumano nei loro confronti, peggiore di quello talebano. Le cifre sono impressionanti, come impressionanti sono le cifre dei morti civili: bambini, donne e anziani uccisi dai bombardamenti dei loro pseudo “liberatori”. C'è una bella intervista, rilasciata da Mariam Rawi, membro del comitato relazioni estere di RAWA, a Peace News circa l'attuale occupazione condotta dagli Stati Uniti in Afghanistan, molto illuminante per comprendere bene quello che sta succedendo in quel paese e come la situazione delle donne sia peggiorata dal giorno dell'invasione.
Questa guerra insensata e criminale, come tutte le altre guerre che l'umanità ha combattuto nel corso della sua storia, sta lasciando dietro di sé solo morte e vergogna. Vergogna per tutta la società mondiale che assiste passiva senza intervenire in maniera efficace per impedire ai governi di continuare a mietere vittime innocenti, immolate in nome del profitto delle multinazionali, avide e desiderose di impossessarsi delle ingenti ricchezze naturali di quel paese.
Dove sono finiti i grandi movimenti di massa pacifisti organizzati contro la guerra del Vietnam? Dove sono finiti tutti i militanti contro l'imperialismo capitalista e guerrafondaio? Dove sono finiti i menestrelli del “peace, love and freedom” ?
Questa sporca guerra non sembra entusiasmare abbastanza i professionisti del pacifismo militante, se essi non ritengono valga la pena scendere in piazza e ribellarsi contro i loro governi criminali e assassini. Se muore un “bianco occidentale” le pagine dei quotidiani e gli schermi televisivi si riempiono di piagnistei da coccodrilli ipocriti e bugiardi e qualcuno, audace, si spinge fino al punto di chiedere il ritiro delle truppe. In pochi mesi sono morti mille afghani e non gliene ne frega niente a nessuno. La doppia morale dell'uomo bianco. Il Berlusca, per ingraziarsi Bush e mettere la sordina agli scandali che lo riguardano, da perfetto vassallo è andato da Obama per confermargli il suo pieno appoggio e offrirgli ancora più uomini e mezzi. Questo in barba alla Costituzione e con il consenso di tutte le forze politiche italiane. Obama, che in un primo momento sembrava volersi distinguere da Bush e dalle sue politiche aggressive ed imperialiste, in realtà sta confermando e rafforzando la presenza americana ed occidentale in quei territori, senza cambiare nulla.
Non esistono governanti giusti, il volto del potere può essere più o meno gradevole, ma il suo sorriso accattivante nasconde sempre il ghigno della violenza e della sopraffazione; le sue parole gentili camuffano la bugia e l'inganno. Del resto nei paesi cosiddetti democratici, anche l'uomo più potente è in realtà un fantoccio nelle mani dei gruppi economici e finanziari, che agisce per proteggere i loro esclusivi interessi, in nome e a danno di tutto il popolo sovrano.
Il giorno in cui il popolo afghano riuscirà ad organizzarsi per liberarsi dagli oppressori interni e dagli invasori venuti da lontano, sarà un grande giorno per tutta l'umanità. La storia insegna che solo la rivolta contro gli oppressori ridà dignità e libertà agli umiliati. Le donne afghane rivoluzionarie di RAWA, pur nell'isolamento quasi totale, in cui sono tenute dai potenti mezzi di comunicazione internazionali, lottano ogni giorno per conquistarsi la libertà e la dignità calpestata. Il loro coraggio è una sfida continua che non si lascia intimorire da niente e da nessuno. Esse meritano tutta la nostra solidarietà ed il nostro appoggio. Lode alle donne afghane.
Una individualità anarchica siciliana
La liberazione delle donne è l'altra tragica beffa giocata ai danni delle già martoriate afghane. Non solo hanno continuato ad annullare la loro fisicità, il loro essere corpi viventi, dentro gli odiati burqa, ma hanno dovuto subire la violenza brutale degli stupri, l'essere vendute, i matrimoni forzati, la prostituzione, le aggressioni con l'acido. Per non parlare del disastro umanitario in cui versano le vedove di guerra e le donne povere costrette a subire violenze di tutti i tipi. In alcune zone, le donne preferiscono suicidarsi, darsi fuoco piuttosto che sottomettersi ad un regime violento e disumano nei loro confronti, peggiore di quello talebano. Le cifre sono impressionanti, come impressionanti sono le cifre dei morti civili: bambini, donne e anziani uccisi dai bombardamenti dei loro pseudo “liberatori”. C'è una bella intervista, rilasciata da Mariam Rawi, membro del comitato relazioni estere di RAWA, a Peace News circa l'attuale occupazione condotta dagli Stati Uniti in Afghanistan, molto illuminante per comprendere bene quello che sta succedendo in quel paese e come la situazione delle donne sia peggiorata dal giorno dell'invasione.
Questa guerra insensata e criminale, come tutte le altre guerre che l'umanità ha combattuto nel corso della sua storia, sta lasciando dietro di sé solo morte e vergogna. Vergogna per tutta la società mondiale che assiste passiva senza intervenire in maniera efficace per impedire ai governi di continuare a mietere vittime innocenti, immolate in nome del profitto delle multinazionali, avide e desiderose di impossessarsi delle ingenti ricchezze naturali di quel paese.
Dove sono finiti i grandi movimenti di massa pacifisti organizzati contro la guerra del Vietnam? Dove sono finiti tutti i militanti contro l'imperialismo capitalista e guerrafondaio? Dove sono finiti i menestrelli del “peace, love and freedom” ?
Questa sporca guerra non sembra entusiasmare abbastanza i professionisti del pacifismo militante, se essi non ritengono valga la pena scendere in piazza e ribellarsi contro i loro governi criminali e assassini. Se muore un “bianco occidentale” le pagine dei quotidiani e gli schermi televisivi si riempiono di piagnistei da coccodrilli ipocriti e bugiardi e qualcuno, audace, si spinge fino al punto di chiedere il ritiro delle truppe. In pochi mesi sono morti mille afghani e non gliene ne frega niente a nessuno. La doppia morale dell'uomo bianco. Il Berlusca, per ingraziarsi Bush e mettere la sordina agli scandali che lo riguardano, da perfetto vassallo è andato da Obama per confermargli il suo pieno appoggio e offrirgli ancora più uomini e mezzi. Questo in barba alla Costituzione e con il consenso di tutte le forze politiche italiane. Obama, che in un primo momento sembrava volersi distinguere da Bush e dalle sue politiche aggressive ed imperialiste, in realtà sta confermando e rafforzando la presenza americana ed occidentale in quei territori, senza cambiare nulla.
Non esistono governanti giusti, il volto del potere può essere più o meno gradevole, ma il suo sorriso accattivante nasconde sempre il ghigno della violenza e della sopraffazione; le sue parole gentili camuffano la bugia e l'inganno. Del resto nei paesi cosiddetti democratici, anche l'uomo più potente è in realtà un fantoccio nelle mani dei gruppi economici e finanziari, che agisce per proteggere i loro esclusivi interessi, in nome e a danno di tutto il popolo sovrano.
Il giorno in cui il popolo afghano riuscirà ad organizzarsi per liberarsi dagli oppressori interni e dagli invasori venuti da lontano, sarà un grande giorno per tutta l'umanità. La storia insegna che solo la rivolta contro gli oppressori ridà dignità e libertà agli umiliati. Le donne afghane rivoluzionarie di RAWA, pur nell'isolamento quasi totale, in cui sono tenute dai potenti mezzi di comunicazione internazionali, lottano ogni giorno per conquistarsi la libertà e la dignità calpestata. Il loro coraggio è una sfida continua che non si lascia intimorire da niente e da nessuno. Esse meritano tutta la nostra solidarietà ed il nostro appoggio. Lode alle donne afghane.
Una individualità anarchica siciliana
Rete sicurezza lavoro.
Sette rinvii a giudizio per la tragedia di Mineo.
Indagati amministratori e tecnici che secondo l'accusa sarebbero responsabili della morte di sei operai addetti al depuratore comunale nel giugno del 2008.
La Procura della Repubblica di Caltagirone (CT) ha chiesto il rinvio a giudizio di sette persone per l'incidente sul lavoro nel depuratore comunale di Mineo avvenuto l'11 giugno del 2008 in cui morirono sei persone (Leggi "Caduti in una trappola mortale", Guidasicilia.it del 12/06/08). Il provvedimento, firmato dal procuratore capo Francesco Paolo Giordano, è giunto a conclusione di indagini svolte da carabinieri delle compagnie di Palagonia, di Caltagirone e del Noe.
Le persone imputate sono il sindaco di Mineo, Giuseppe Castania; l'assessore con delega ai lavori Pubblici, Giuseppe Mirata; il responsabile ufficio tecnico del Comune, architetto Marcello Zampino; l'addetto ai servizio del depuratore, geometra Antonino Catalano; il responsabile del servizio di prevenzione Giuseppe Virzì; il titolare della omonima azienda di espurgo di Ragusa, Salvatore Carfì; e il capo cantiere della ditta, Salvatore La Cognata.
Secondo l'accusa, la morte dei sei operai sarebbe stata causata dall'esalazioni tossiche formatesi nel pozzetto di ricircolo dei fanghi durante le fasi della sua pulizia, che, secondo una perizia disposta dalla Procura e eseguita da tre docenti universitari, sarebbero state prodotte dallo sversamento illecito nella vasca di idrocarburi dall'autobotte della ditta Carfì che si trovava a operare sul posto. I capi d'imputazione contestati dal procuratore capo Giordano sono diversi e articolati. Nei confronti del sindaco Castania, dell'architetto Zampino e dell'allora assessore Mirata è ipotizzato l'abuso d'ufficio; Zampino e Mirata, inoltre, assieme al geometra Catalano, Virzì, Carfì e La Cognata sono imputati per omicidio colposo plurimo; Carfì e La Cognata sono anche accusati di causazione della morte come evento prodotto da un reato doloso, nella specie il traffico di rifiuti speciali.
La data dell'udienza al Gup non è stata fissata.
Nell'incidente morirono i dipendenti comunali Salvatore Pulici, Giuseppe Palermo, Natale Sofia e Giuseppe Zaccaria e due operai della società Carfì, Salvatore Tumino e Giuseppe Smecca.
Informazioni tratte da Ansa.it, La Siciliaweb.it
Nodo Palermitano Rete sicurezza lavoro
Indagati amministratori e tecnici che secondo l'accusa sarebbero responsabili della morte di sei operai addetti al depuratore comunale nel giugno del 2008.
La Procura della Repubblica di Caltagirone (CT) ha chiesto il rinvio a giudizio di sette persone per l'incidente sul lavoro nel depuratore comunale di Mineo avvenuto l'11 giugno del 2008 in cui morirono sei persone (Leggi "Caduti in una trappola mortale", Guidasicilia.it del 12/06/08). Il provvedimento, firmato dal procuratore capo Francesco Paolo Giordano, è giunto a conclusione di indagini svolte da carabinieri delle compagnie di Palagonia, di Caltagirone e del Noe.
Le persone imputate sono il sindaco di Mineo, Giuseppe Castania; l'assessore con delega ai lavori Pubblici, Giuseppe Mirata; il responsabile ufficio tecnico del Comune, architetto Marcello Zampino; l'addetto ai servizio del depuratore, geometra Antonino Catalano; il responsabile del servizio di prevenzione Giuseppe Virzì; il titolare della omonima azienda di espurgo di Ragusa, Salvatore Carfì; e il capo cantiere della ditta, Salvatore La Cognata.
Secondo l'accusa, la morte dei sei operai sarebbe stata causata dall'esalazioni tossiche formatesi nel pozzetto di ricircolo dei fanghi durante le fasi della sua pulizia, che, secondo una perizia disposta dalla Procura e eseguita da tre docenti universitari, sarebbero state prodotte dallo sversamento illecito nella vasca di idrocarburi dall'autobotte della ditta Carfì che si trovava a operare sul posto. I capi d'imputazione contestati dal procuratore capo Giordano sono diversi e articolati. Nei confronti del sindaco Castania, dell'architetto Zampino e dell'allora assessore Mirata è ipotizzato l'abuso d'ufficio; Zampino e Mirata, inoltre, assieme al geometra Catalano, Virzì, Carfì e La Cognata sono imputati per omicidio colposo plurimo; Carfì e La Cognata sono anche accusati di causazione della morte come evento prodotto da un reato doloso, nella specie il traffico di rifiuti speciali.
La data dell'udienza al Gup non è stata fissata.
Nell'incidente morirono i dipendenti comunali Salvatore Pulici, Giuseppe Palermo, Natale Sofia e Giuseppe Zaccaria e due operai della società Carfì, Salvatore Tumino e Giuseppe Smecca.
Informazioni tratte da Ansa.it, La Siciliaweb.it
Nodo Palermitano Rete sicurezza lavoro
Comunicato stampa Palermo 27 luglio 2009.
Protesta ad oltranza dell’operaio Palumbo davanti la Fincantieri da oggi.
Nel processo Fincantieri contro Palumbo ancora ingiustizie.
Nell’udienza del 23 luglio scorso la giudice Barone ha continuato con il suo atteggiamento di oggettivo fiancheggiamento dell’avvocato della Fincantieri, infatti ogni volta che l’avvocatessa dell’operaio Palumbo ha fatto presente situazioni di contraddizione nelle deposizioni dei testimoni, la giudice cercava di non farla parlare o non faceva mettere a verbale l’appunto accogliendo l’opposizione dell’avvocato della Fincantieri o dichiarando non pertinente il fatto.
E in contraddizioni i testimoni sono caduti tante volte rispetto alle deposizioni iniziali, ma per il giudice sembra che queste non esistano.
Alla fine di quest’altra estenuante udienza, durante la quale l’operaio ha provato ad intervenire diverse volte per fare chiarezza sulla situazione mostrando per esempio le foto o i video che mostrano in che condizioni si lavora dentro i Cantieri Navali (e ogni volta è stato minacciato di essere buttato fuori dall’aula) la giudice ha rinviato a febbraio 2010 la prossima udienza!
Alle normali rimostranze da parte dell’operaio e dell’avvocatessa per la lunghissima attesa che mette ancor più in pericolo l’esistenza dell’operaio e della sua famiglia la giudice ha risposto che se così non andava bene poteva spostargliela a novembre 2010!!!
Alla faccia della giustizia e della solidarietà!
Per fortuna la solidarietà all’operaio Palumbo continua a crescere tra coloro che vengono a conoscenza di questa assurda situazione.
Questa solidarietà servirà nei prossimi giorni e mesi di lotta!
Rete nazionale per la sicurezza nei posti di lavoro - nodo palermitano
Nel processo Fincantieri contro Palumbo ancora ingiustizie.
Nell’udienza del 23 luglio scorso la giudice Barone ha continuato con il suo atteggiamento di oggettivo fiancheggiamento dell’avvocato della Fincantieri, infatti ogni volta che l’avvocatessa dell’operaio Palumbo ha fatto presente situazioni di contraddizione nelle deposizioni dei testimoni, la giudice cercava di non farla parlare o non faceva mettere a verbale l’appunto accogliendo l’opposizione dell’avvocato della Fincantieri o dichiarando non pertinente il fatto.
E in contraddizioni i testimoni sono caduti tante volte rispetto alle deposizioni iniziali, ma per il giudice sembra che queste non esistano.
Alla fine di quest’altra estenuante udienza, durante la quale l’operaio ha provato ad intervenire diverse volte per fare chiarezza sulla situazione mostrando per esempio le foto o i video che mostrano in che condizioni si lavora dentro i Cantieri Navali (e ogni volta è stato minacciato di essere buttato fuori dall’aula) la giudice ha rinviato a febbraio 2010 la prossima udienza!
Alle normali rimostranze da parte dell’operaio e dell’avvocatessa per la lunghissima attesa che mette ancor più in pericolo l’esistenza dell’operaio e della sua famiglia la giudice ha risposto che se così non andava bene poteva spostargliela a novembre 2010!!!
Alla faccia della giustizia e della solidarietà!
Per fortuna la solidarietà all’operaio Palumbo continua a crescere tra coloro che vengono a conoscenza di questa assurda situazione.
Questa solidarietà servirà nei prossimi giorni e mesi di lotta!
Rete nazionale per la sicurezza nei posti di lavoro - nodo palermitano
No pasaran.
Un attentato incendiario ha completamente distrutto il Circolo di Documentazione Malastrada di via Degli Angeli. Il locale, si trova a poche centinaia di metri dal Tirone e da piazza Lo Sardo. Le fiamme non hanno risparmiato niente incenerendo gli arredi del circolo, l’archivio ed il materiale divulgativo.
La Federazione Siciliana della FdCA, nel condannare questo grave atto intimidatorio, esprime la propria solidarietà ai compagni del Malastrada.
La Federazione Siciliana della FdCA, nel condannare questo grave atto intimidatorio, esprime la propria solidarietà ai compagni del Malastrada.
Comunicato riunione nazionale antirazzista 25 luglio.
Preparazione della manifestazione antirazzista nazionale del 17 ottobre 2009 a Roma.
L’assemblea nazionale antirazzista del 25 luglio riunitasi a Roma, rivolge un forte appello a mobilitarsi contro i provvedimenti razzisti del governo Berlusconi che alimentano odio, divisioni e violenza nella società. Perciò decide di convocare dal 20 al 30 settembre iniziative locali, per la regolarizzazione di tutti gli immigrati e preparare la manifestazione antirazzista nazionale del 17 ottobre 2009 a Roma.
Sulla base di questa piattaforma׃ No al razzismo per la regolarizzazione generalizzata per tutti/e ritiro del pacchetto sicurezza accoglienza per tutti no ai respingimenti e agli accordi bilaterali che li prevedono per la rottura netta del legame tra il permesso di soggiorno e il contratto di lavoro diritto di asilo per i rifugiati e profughi per la chiusura definitiva dei Centri di Identificazione ed Espulsioni (CEI) no alle divisioni tra italiani e stranieri diritto al lavoro, alla salute, alla casa e all’istruzione per tutti/e mantenimento del permesso di soggiorno per chi ha perso il lavoro.
L’assemblea decide di convocare una manifestazione nazionale antirazzista il 17 ottobre 2009 a Roma.
Pertanto facciamo appello a tutte le associazioni laiche e religiose, le organizzazioni sindacali, la società civile e a tutti i movimenti ad appoggiare e sostenere questo percorso.
L’assemblea nazionale antirazzista del 25 luglio riunitasi a Roma, rivolge un forte appello a mobilitarsi contro i provvedimenti razzisti del governo Berlusconi che alimentano odio, divisioni e violenza nella società. Perciò decide di convocare dal 20 al 30 settembre iniziative locali, per la regolarizzazione di tutti gli immigrati e preparare la manifestazione antirazzista nazionale del 17 ottobre 2009 a Roma.
Sulla base di questa piattaforma׃ No al razzismo per la regolarizzazione generalizzata per tutti/e ritiro del pacchetto sicurezza accoglienza per tutti no ai respingimenti e agli accordi bilaterali che li prevedono per la rottura netta del legame tra il permesso di soggiorno e il contratto di lavoro diritto di asilo per i rifugiati e profughi per la chiusura definitiva dei Centri di Identificazione ed Espulsioni (CEI) no alle divisioni tra italiani e stranieri diritto al lavoro, alla salute, alla casa e all’istruzione per tutti/e mantenimento del permesso di soggiorno per chi ha perso il lavoro.
L’assemblea decide di convocare una manifestazione nazionale antirazzista il 17 ottobre 2009 a Roma.
Pertanto facciamo appello a tutte le associazioni laiche e religiose, le organizzazioni sindacali, la società civile e a tutti i movimenti ad appoggiare e sostenere questo percorso.
Comunicato.
Una delegazione del “coordinamento contro la repressione per i diritti” composta da una decina di compagne e compagni si è recata come previsto presso la sede palermitana di Repubblica oggi pomeriggio alle 16:00. La delegazione ha presentato alla stampa il documento (qui allegato) con cui il coordinamento rende pubblici i propri intenti e l’inizio di un percorso politico contro la repressione, in primis contro il pacchetto sicurezza ed il suo esecutore a Palermo: il questore Marangoni.
La delegazione ha avuto modo di presentare la nascita del coordinamento e la sua natura al giornalista Enrico Bellavia, con cui ha interloquito per un ora abbondante durante la quale vari componenti della delegazione hanno messo in rilievo l’importanza della costituzione del coordinamento per unire sempre più forze non solo di militanti politici ma anche via via di settori sociali con il fine di contrastare materialmente i provvedimenti repressivi messi in atto dalle istituzioni come la questura ma anche ad esempio dalla giunta Cammarata con il decreto anti-bivacco.
Tra gli ultimi gravissimi episodi di repressione sono stati ricordati: l’avviso orale contro Pietro Milazzo, l’episodio del 24/05 in occasione della manifestazione per l’anniversario della morte di Giovanni Falcone, atteggiamento intimidatorio di agenti della digos, polizia e carabinieri verso compagni che esprimono il proprio pensiero in pubblico con volantinaggi ecc. adducendo a regolamenti inesistenti o al mero diktat del questore, la questione dei rottamai, lo sgombero di centri sociali negli ultimi mesi e l’annuncio di prossimi sgomberi verso altri centri sociali o edifici occupati dai senza casa, verso gli studenti dell’Onda e lavoratori della scuola criminalizzati in diverse mobilitazioni, l’intimidazione di alcuni esponenti tamil “colpevoli” di aver ricevuto la solidarietà di alcuni compagni durante le ultime mobilitazioni.
Più in generale il restringimento costante delle libertà di espressione del pensiero e del dissenso a causa delle legislazione sempre più restrittiva che guarda sempre più ad una crescente fascistizzazione della società.
Il giornalista non si è limitato ad ascoltare i membri del coordinamento che hanno preso parola ma ha interloquito mostrando interesse e impegnandosi inoltre a scrivere lui stesso l’articolo tra oggi e domani.
Scesi dalla sede del quotidiano abbiamo notato la presenza di tre individui che aspettavano sotto molto interessati alla delegazione del coordinamento che usciva dalla portineria dell’edificio, uno dei quali munito di videocamera. Guarda caso, dopo una ventina di minuti mentre andavano via, nonostante nessuno della delegazione li conoscesse (se non di vista) hanno accennato un saluto (non corrisposto)…
Il coordinamento si riunirà Mercoledi 1 luglio alle 18:00 in luogo da stabilirsi per decidere circa le prime mobilitazioni e azioni politiche.
Seguiranno aggiornamenti.
La delegazione ha avuto modo di presentare la nascita del coordinamento e la sua natura al giornalista Enrico Bellavia, con cui ha interloquito per un ora abbondante durante la quale vari componenti della delegazione hanno messo in rilievo l’importanza della costituzione del coordinamento per unire sempre più forze non solo di militanti politici ma anche via via di settori sociali con il fine di contrastare materialmente i provvedimenti repressivi messi in atto dalle istituzioni come la questura ma anche ad esempio dalla giunta Cammarata con il decreto anti-bivacco.
Tra gli ultimi gravissimi episodi di repressione sono stati ricordati: l’avviso orale contro Pietro Milazzo, l’episodio del 24/05 in occasione della manifestazione per l’anniversario della morte di Giovanni Falcone, atteggiamento intimidatorio di agenti della digos, polizia e carabinieri verso compagni che esprimono il proprio pensiero in pubblico con volantinaggi ecc. adducendo a regolamenti inesistenti o al mero diktat del questore, la questione dei rottamai, lo sgombero di centri sociali negli ultimi mesi e l’annuncio di prossimi sgomberi verso altri centri sociali o edifici occupati dai senza casa, verso gli studenti dell’Onda e lavoratori della scuola criminalizzati in diverse mobilitazioni, l’intimidazione di alcuni esponenti tamil “colpevoli” di aver ricevuto la solidarietà di alcuni compagni durante le ultime mobilitazioni.
Più in generale il restringimento costante delle libertà di espressione del pensiero e del dissenso a causa delle legislazione sempre più restrittiva che guarda sempre più ad una crescente fascistizzazione della società.
Il giornalista non si è limitato ad ascoltare i membri del coordinamento che hanno preso parola ma ha interloquito mostrando interesse e impegnandosi inoltre a scrivere lui stesso l’articolo tra oggi e domani.
Scesi dalla sede del quotidiano abbiamo notato la presenza di tre individui che aspettavano sotto molto interessati alla delegazione del coordinamento che usciva dalla portineria dell’edificio, uno dei quali munito di videocamera. Guarda caso, dopo una ventina di minuti mentre andavano via, nonostante nessuno della delegazione li conoscesse (se non di vista) hanno accennato un saluto (non corrisposto)…
Il coordinamento si riunirà Mercoledi 1 luglio alle 18:00 in luogo da stabilirsi per decidere circa le prime mobilitazioni e azioni politiche.
Seguiranno aggiornamenti.
Fata morgana.
In ottica la Fata Morgana, o Fatamorgana, è un tipo di miraggio in cui l'immagine apparente muta velocemente forma; viene così chiamato per la caratteristica di riprodurre il soggetto a una elevazione dal suolo, proprio come le apparizioni dell'omonimo personaggio della mitologia celtica. In Italia questo raro fenomeno si manifesta nelle calde giornate estive dalla costa calabrese dello Stretto di Messina.
Una leggenda ampiamente diffusa in tutta l'area dello Stretto narra che durante le invasioni barbariche in agosto, mentre il cielo e il mare erano senza un alito di vento, e una leggera nebbiolina velava l'orizzonte, un'orda di conquistatori dopo avere attraversato tutta la penisola giunse alle rive della città di Reggio e si trovò davanti allo stretto che divide la Calabria dalla Sicilia. A pochi chilometri sull'altra sponda sorgeva un'isola - la Sicilia - con un gran monte fumante - l'Etna - ed il Re barbaro si domandava come fare a raggiungerla trovandosi sprovvisto di imbarcazioni, quindi impotente davanti al mare. All'improvviso apparve una donna molto bella, che offrì l'isola al conquistatore, e con un cenno la fece apparire a due passi da lui. Guardando nell'acqua egli vedeva nitidi, i monti, le spiagge, le vie di campagna e le navi nel porto come se potesse toccarli con le mani. Esultando il Re barbaro balzò giù da cavallo e si gettò in acqua, sicuro di poter raggiungere l'isola con un paio di bracciate, ma l'incanto si ruppe e il Re affogò miseramente. Tutto infatti era un miraggio, un gioco di luce della bella e sconosciuta donna, che altri non era se non la Fata Morgana. Ancora oggi, in certe giornate calme e limpide…
Da Wikipedia
Una leggenda ampiamente diffusa in tutta l'area dello Stretto narra che durante le invasioni barbariche in agosto, mentre il cielo e il mare erano senza un alito di vento, e una leggera nebbiolina velava l'orizzonte, un'orda di conquistatori dopo avere attraversato tutta la penisola giunse alle rive della città di Reggio e si trovò davanti allo stretto che divide la Calabria dalla Sicilia. A pochi chilometri sull'altra sponda sorgeva un'isola - la Sicilia - con un gran monte fumante - l'Etna - ed il Re barbaro si domandava come fare a raggiungerla trovandosi sprovvisto di imbarcazioni, quindi impotente davanti al mare. All'improvviso apparve una donna molto bella, che offrì l'isola al conquistatore, e con un cenno la fece apparire a due passi da lui. Guardando nell'acqua egli vedeva nitidi, i monti, le spiagge, le vie di campagna e le navi nel porto come se potesse toccarli con le mani. Esultando il Re barbaro balzò giù da cavallo e si gettò in acqua, sicuro di poter raggiungere l'isola con un paio di bracciate, ma l'incanto si ruppe e il Re affogò miseramente. Tutto infatti era un miraggio, un gioco di luce della bella e sconosciuta donna, che altri non era se non la Fata Morgana. Ancora oggi, in certe giornate calme e limpide…
Da Wikipedia
Contro il mostro sullo stretto.
Oggi siamo qui a Messina per ribadire il nostro NO all’ennesimo progetto di devastazione ambientale, economica e sociale che la Sicilia sta per subire.
La politica delle “grandi opere”, che secondo il punto di vista delle solite lobbies favorirà sviluppo e progresso, è sempre stata e sarà sempre un’immensa truffa ai danni delle popolazioni locali. Il ponte sullo Stretto è una di queste: proposto e progettato dal governo Berlusconi e momentaneamente “congelato” dal connivente governo Prodi, il Ponte è rimasto una concreta minaccia per la nostra terra. Quella che i politicanti starnazzano come un’opera basilare per lo sviluppo dell’arretrata Sicilia utile per piazzare posti di lavoro, sarà invece una vera e propria mannaia che falcerà in primis i lavoratori del settore marittimo e ferroviario: sono previsti, infatti, licenziamenti per 3000 unità. Considerando che la costruzione dell’opera dovrebbe occupare un arco ristretto di tempo e che quindi non garantirebbe un lavoro fisso alle persone assunte per i cantieri, possiamo capire immediatamente la sfacciataggine della truffa.
Come al solito la Sicilia è terra di rapina: ci propongono i soliti mostri di cemento che, invece di creare uno sviluppo ecosostenibile e una reale opportunità di lavoro per i cittadini, foraggiano il capitale e sfruttano efferatamente le risorse umane e ambientali della nostra terra. Solo cementificazione, devastazione ambientale, sociale ed economica.
In tutto questo gli unici a trarne vantaggio sono una classe politica corrotta e mafiosa, le potentissime lobby del cemento e tutta la feccia padronale.
Le proposte concrete per uno sviluppo reale della Sicilia non sono sicuramente le “cattedrali nel deserto”, i rigassificatori, i ponti o le centrali nucleari; ma un potenziamento e un riammodernamento dei trasporti su rotaia e via mare che oltre a garantire un efficiente collegamento a livello regionale, garantirebbero una drastica diminuizione dell’inquinamento e opportunità lavorative reali e permanenti.
Noi proponiamo percorsi autogestionari che garantiscano un controllo dal basso delle risorse del territorio. Percorsi comuni e condivisi da tutti. Siamo contro lo Stato, contro i partiti e contro tutti i governi, che difendono i privilegi dei potenti e negano i diritti degli oppressi. Per una società di liberi ed uguali, senza servi e senza padroni.
COORDINAMENTO ANARCHICO PALERMITANO
La politica delle “grandi opere”, che secondo il punto di vista delle solite lobbies favorirà sviluppo e progresso, è sempre stata e sarà sempre un’immensa truffa ai danni delle popolazioni locali. Il ponte sullo Stretto è una di queste: proposto e progettato dal governo Berlusconi e momentaneamente “congelato” dal connivente governo Prodi, il Ponte è rimasto una concreta minaccia per la nostra terra. Quella che i politicanti starnazzano come un’opera basilare per lo sviluppo dell’arretrata Sicilia utile per piazzare posti di lavoro, sarà invece una vera e propria mannaia che falcerà in primis i lavoratori del settore marittimo e ferroviario: sono previsti, infatti, licenziamenti per 3000 unità. Considerando che la costruzione dell’opera dovrebbe occupare un arco ristretto di tempo e che quindi non garantirebbe un lavoro fisso alle persone assunte per i cantieri, possiamo capire immediatamente la sfacciataggine della truffa.
Come al solito la Sicilia è terra di rapina: ci propongono i soliti mostri di cemento che, invece di creare uno sviluppo ecosostenibile e una reale opportunità di lavoro per i cittadini, foraggiano il capitale e sfruttano efferatamente le risorse umane e ambientali della nostra terra. Solo cementificazione, devastazione ambientale, sociale ed economica.
In tutto questo gli unici a trarne vantaggio sono una classe politica corrotta e mafiosa, le potentissime lobby del cemento e tutta la feccia padronale.
Le proposte concrete per uno sviluppo reale della Sicilia non sono sicuramente le “cattedrali nel deserto”, i rigassificatori, i ponti o le centrali nucleari; ma un potenziamento e un riammodernamento dei trasporti su rotaia e via mare che oltre a garantire un efficiente collegamento a livello regionale, garantirebbero una drastica diminuizione dell’inquinamento e opportunità lavorative reali e permanenti.
Noi proponiamo percorsi autogestionari che garantiscano un controllo dal basso delle risorse del territorio. Percorsi comuni e condivisi da tutti. Siamo contro lo Stato, contro i partiti e contro tutti i governi, che difendono i privilegi dei potenti e negano i diritti degli oppressi. Per una società di liberi ed uguali, senza servi e senza padroni.
COORDINAMENTO ANARCHICO PALERMITANO
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